Le origini mitiche
Come accade per molte discipline dell’Asia Orientale e del Sudest Asiatico, l’origine del Taijiquan si ammanta dei colori del mito e si intesse tra storia e leggenda. Cosi’, si narra che un monaco daoista, Zhang Sanfeng (張三丰 oppure 張三峰), abbia creato il Taijiquan osservando prima il combattimento tra una gru e un serpente, e poi, sulle cime del monte Wu Dang, abbia compreso la natura della forza morbida e spiraleggiante guardando le nuvole muoversi nel cielo e i movimenti delle foglie portate dalle correnti ascensionali.
Sulla reale esistenza, cosi’ come sul luogo e sul periodo in cui il mitico fondatore del Taijiquan sarebbe nato, non c’e’ accordo. Diverse fonti, in epoche differenti, lo posizionano in luoghi e tempi lontani tra loro. Cosi’, nel Mingshi si racconta che Zhang Sanfeng nacque nel 1247 a Yizhou nel Liaoning, nel Nord-Est della Cina; vari annali storici, poi, lo collocano o durante il periodo della dinastia Song, o della dinastia Jin oppure in quello della dinastia Yuan ed in località molto distanti tra loro, quali la provincia di Shanxi, quella di Shaanxi, o in Sichuan. Se questa varieta’ dipenda da casi di omonimia o dal desiderio di vari luoghi di attribuirsi i natali di una cosi’ particolare ed importante figura, e’ ancora materia dibattuta.
Il Wang Zhengnan Muzhiming (王征南墓志铭, L’epitaffio di Wang Zhengnan) del 1669 e’ il primo scritto a menzionare Zhang Sanfeng come fondatore del Neijiaquan. Non esistono fonti anteriori a questa data che indichino che egli abbia creato le tecniche di combattimento di cui oggi gli si assegna la paternita’ – tra le quali il Wudang Danpai jian, Taijijian, Neijiaquan, certi stili di Taijiquan. La famosa poesia della Fondazione del Taijiquan, a lui attribuita, che si può leggere in numerosi manuali, e’ di difficile datazione, in quanto trasmessa in forma orale cosi’ come molti dei nuclei su cui successivamente si sarebbero costruiti i Classici del Taijiquan. L’inizio del Periodo Repubblicano costituisce un momento fondamentale per l’elaborazione dei testi sul Taijiquan. La figura del fondatore – presunto o reale – viene mitizzata e assurta a simbolo della stabilita’ della cultura cinese in opposizione agli sconvolgimenti portati dall’irruzione delle culture occidentali nei territori del Celeste Impero, come nel Sanfeng Quanshu (三丰全书) scritto nel 1844 da Li Xiyue (李西月). Questo simbolo e’ poi consolidato nelle opere di diversi autori posteriori, quali Li Yishe (李亦畲) che nel 1867 scrisse che il Taijiquan proviene da Zhang Sanfeng.
Le origini storiche
Da un punto di vista storico, le ricerche tendono oggi a confermare che i vari stili di Taijiquan oggi praticati (Chen, Yang, Wu/Hao, Wu e Sun) siano derivati dallo stile della famiglia Chen (陳式), nato presumibilmente nella provincia cinese dello Henan nell’ultimo periodo della dinastia Ming e il primo della Qing (XVII secolo D.C.). Stando a questa ricostruzione, il fondatore storico sarebbe Chen Wangting (1600-1680), un combattente letterato che nello stile da lui creato, a partire dalla propria esperienza, creo’ un sistema di combattimento che, letteralmente, metteva in pratica le filosofie dell’Yi Jing, della scuola Yin/Yang, dei Wu Xing (5 Principi Agenti, ovvero terra, legno, fuoco, metallo, acqua), lo studio e la pratica del Jingluo (circolazione energetica attraverso meridiani), e che attingeva a piene mani dalle teorie e dalle prassi daoiste, sia nelle cosmologie sia nelle pratiche, come si evidenzia nell’importanza assegnata ai metodi del Daoyin (controllo dell’energia interna) e del Tuna (respirazione profonda).
L’insegnamento del Taijiquan rimase di esclusiva trasmissione all’interno della famiglia Chen fino al XIX secolo, allorche’ Chen Changxing (1771-1853), patriarca della quattordicesima generazione della famiglia Chen insegno’ l’arte ad un esterno, Yang Luchan (1799-1872). Si narra che Yang Luchan, fedele al giuramento di non trasmettere mai a sua volta l’eredita’ della famiglia Chen, elaboro’ un suo proprio adattamento della forma 108 originaria, attribuita a Chen Wanting, dando origine allo stile Yang (杨式). Secondo un’altra versione, invece, la forma Yang insegnata pubblicamente sarebbe stata una forma appositamente decurtata della vera ed efficace componente marziale, in modo da poter essere insegnata anche alla classe dominante mancese. A differenza dei membri della famiglia Chen, infatti, Yang Luchan si sposto’ a Beijing, sede della corte imperiale Qing, dinastia straniera e invisa agli Han, che manifesto’, pero’ interesse nell’apprendimento di questa nuova arte. Sta di fatto che i movimenti dello stile Yang risultano molto piu’ armonici e fluidi rispetto a quelli dello stile Chen, in cui l’alternanza di momenti rilassati e momenti esplosivi e l’accentuazione delle dinamiche spiraleggianti, tra le altre cose, rendono piu’ evidente l’intento marziale. Si dice inoltre che Yang Luchan non insegno’ mai la seconda forma (Pugno di Cannone) al di fuori della propria famiglia o dei suoi piu’ stretti discepoli. Anche lo stile Wu (武氏) o Wu/Hao(武/郝氏) deriva da un’elaborazione che Wu Yuxiang fece della forma Da Jia Yi Lu, appresa da Yang Luchan, e della Xiao Jia, imparata da Chen Qingping. Hao Weizhen, che praticava lo stile Wu, a sua volta fu maestro di Sun Lutang, che sviluppo’ a sua volta un sistema, oggi noto come stile Sun. Un ulteriore stile Wu – che non ha relazioni dirette con l’altro stile Wu (全式) – fu elaborato da Wu Jianquan, che lo apprese da suo padre, un mancese di nome Wu Quanyou, che aveva a sua volta studiato lo stile Yang.
Cos’e’ il Taijiquan?
Il termine Taijiquan太極拳 puo’ essere tradotto come “pugno del culmine supremo”, con un chiaro riferimento ai principi filosofici e cosmologici della filosofia yin/yang. Tai Ji, dunque, indica la polarita’ yin/yang che si esprime in un’arte di combattimento, Quan (拳) un “pugno”. Il Taijiquan combina in maniera unica ed originale la dimensione marziale, quella terapeutico-curativa, quella filosofica e quella meditativa. Ciascuno di questi ambiti trova una sua modalita’ di esplorazione e di “allenamento” all’interno delle varie pratiche che compongono l’arte. Proprio questa complessita’ di piani intersecantesi rende il Taijiquan un’arte unica, le cui potenzialita’ ed effetti sono divenuti oggetto di approfondite ricerche da parte della comunita’ scientifica internazionale. E’ ormai dato certo, documentato in numerose pubblicazioni non solo asiatiche, che una pratica costante del Taijiquan conduca a modifiche positive nel benessere psico-fisico ed emozionale dei praticanti.
1) Un’Arte marziale
Benche’ questo aspetto venga spesso sottodimensionato in molti dei corsi disponibili oggi in Italia, il Taijiquan e’ a tutti gli effetti un’arte di combattimento. Non solo: il particolare utilizzo della “forza rilassata” la rende, piu’ di altre, un’arte marziale capace di risultare efficace anche quando praticata da persone con fisicita’ in genere considerate come “piu’ deboli”. I classici definiscono il Taijiquan, infatti, “l’arte di muovere 4 tonnellate con 100 once”. Nella divisione delle numerose scuola del Gong Fu Wu Shu cinese, il Taijiquan e’ considerata come nei jia, scuola interna. In una cultura che non prevede la divisione tra materia e spirito, corpo e mente, la definizione di “interna” non indica una via meramente contemplativa, ma individua uno specifico sviluppo ed utilizzo di una forza “morbida e cedevole”, improntata al principio daoista del wu wei (azione non agente). Lo studio del Taijiquan, infatti, punta alla percezione ed allo sviluppo di una forza marziale che non sia originata dalla sola contrazione muscolare distrettuale, ma dalla capacita’ di coordinare e armonizzare in un movimento unico e fluido l’interezza corporea.
2) Un’Arte di lunga vita
Basandosi sui principi della medicina tradizionale cinese, il Taijiquan presenta una successione di movimenti che potenziano e armonizzano la circolazione energetica nel sistema psico-fisico-emozionale umano. Gli effetti benefici gia’ riscontrati, non solo in forma aneddotica, indicano una positiva influenza sul funzionamento del sistema nervoso, cardiovascolare, respiratorio e muscolo-scheletrico. Se nel folklore cinese si sostiene che la pratica assidua del Taijiquan possa portare addirittura all’immortalita’ fisica, piu’ caute ma attendibili testimonianze confermano una maggiore predisposizione dei praticanti a raggiungere eta’ avanzate in ottimali condizioni di salute.
3) Una Filosofia pratica
Le radici profonde del Taijiquan affondano nel ricchissimo patrimonio filosofico e culturale cinese. Se i principali ispiratori del Taijiquan sono indubbiamente il Daoismo, la scuola Yin/Yang e Wu Xing, elementi delle altre grandi due tradizioni di pensiero che hanno costituito la grandezza cinese, ovvero Confucianesimo e Buddhismo (in particolare Chan), sono altresi’ riconoscibili. Del resto, in Asia orientale il Taijiquan e’ a tutti gli effetti considerata una “filosofia pratica”, ovvero una letterale messa in corpo di principi filosofici definiti nei Classici delle filosofie cinesi. Seguendo la metodologia tradizionale, si rende fondamentale per una buona pratica partire dai Principi raccolti nei Classici, che saranno poi fatti esperire attraverso il corpo e messi in atto nel combattimento.
4) Un’Arte di autoconoscenza e di relazione
Basandosi sulla pratica di movimenti lenti, coordinati al respiro, consci del loro darsi nel tempo e nello spazio, il Taijiquan favorisce lo sviluppo di alti livelli propriocettivi, con effetti di aumento della rilassatezza e della fiducia in se stessi. La pratica si completa con pratiche meditative statiche ed in dinamica, che restituiscono una piu’ profonda e chiara relazione col se’, con lo spazio e col tempo circostanti. L’attenzione al momento presente, al “qui e ora” richiesta dalla pratica e’ vista, inoltre, come preziosa controtendenza rispetto alle dinamiche di accelerazione che i tempi contemporanei esercitano sulle nostre vite, aiutando a disciplinare stati ansiosi e a ricercare un piu’ armonico spazio esistenziale.
La percezione di se’, pero’, risulta incompleta se non calata nello specifico delle relazioni, antropiche e non antropiche. Per questa ragione il Taijiquan prevede lo studio di pratiche a coppie quali il tui shou, in cui la propriocezione si sviluppa di pari passo con la percezione delle linee di forza e di debolezza dell’avversario/a. Definito anche come “dialogo corporeo”, il tui shou insegna a porsi all’ascolto del corpo dell’avversario, comprendendone debolezze e rigidita’ grazie alla sola sensibilita’ tattile. Nel contempo, insegna a riconoscere i modi ed i momenti in cui le nostre debolezze emergono, grazie allo “stress” che l’avversario esercita sul nostro corpo. In cio’ si rende esplicito il carattere relazionale dell’arte, che insegna a conoscere il nostro essere, al contempo, soggetti e oggetti di conoscenza, esseri in relazione con gli altri e con l’ambiente. La pratica di gruppo, infine, lavora sull’armonizzazione delle diverse individualita’ in un gruppo in grado di muoversi armoniosamente e all’unisono nello spazio e nel tempo.